11. IL DIRITTO AL LAVORO

Il diritto al lavoro delle persone con disabilità è espressamente previsto dall’art. 38 della Costituzione, ma è desumibile pure dall’art. 4.

Nel 1968 fu approvata la prima legge generale per l’inserimento obbligatorio al lavoro di tutte le persone con disabilità, normativa prima divisa in diverse norme settoriali per distinte tipologie di disabilità, ad es. ciechi, sordi ed al loro interno per distinte professioni, ad es. ciechi centralinisti, ciechi masso-fisioterapisti etc. Caratteristica fondamentale era la previsione di percentuali numeriche di assunzioni che la legge imponeva alle imprese sulla base di una graduatoria tenuta dagli uffici speciali di collocamento. Accadeva quindi che  operandosi la chiamata numerica dei disabili da parte dei datori di lavoro, non sempre alle richieste di questi ultimi corrispondessero le capacità lavorative dei chiamati e il contingente da assumere veniva vissuto dai datori di lavoro più come un’imposta che come un’opportunità per l’impresa.

Così le associazioni si adoperarono politicamente e fecero approvare prima alcune norme nell’ambito della l. n° 104/1992 e poi la l. n° 68/1999 sul collocamento “mirato”.

Nella l. n° 104/1992 gli articoli da 18 a 22 prevedono che le regioni istituiscano un albo relativo agli enti che possono svolgere “attività idonee a favorire l’inserimento e l’integrazione lavorativa”; che titolari del diritto al lavoro siano anche le persone con disabilità intellettive e psichiche; che la valutazione della capacità lavorativa venga effettuata dalla commissione di accertamento cui all’art. 4 della stessa legge integrata da “da uno specialista nelle discipline neurologiche, psichiatriche o psicologiche”; che nei pubblici concorsi e negli esami di abilitazione alle professioni i candidati con disabilità abbiano il diritto di usare ausili tecnologici e tempi più lunghi; che i vincitori dei concorsi pubblici con invalidità superiore al 66% abbiano diritto di precedenza nella scelta della prima sede o in caso di trasferimento a domanda; che per l’assunzione non è richiesto il certificato di sana e robusta costituzione, però la normativa applicativa (Circolare del Ministero della Funzione pubblica n° Y90543/7488 del 26/06/1992) ha precisato che deve comunque essere effettuata la verifica dell’idoneità allo svolgimento delle specifiche mansioni previste dal profilo professionale.

La l. n° 68/1999 introduce il principio innovativo dell’inserimento lavorativo “mirato”, cioè tale che, grazie alla commissione paritetica composta dai sindacati dei datori di lavoro, dei lavoratori e dall’ufficio per l’impiego, un “comitato tecnico” potesse favorire l’incontro tra le esigenze dei datori di lavoro e le capacità dei lavoratori. Il Comitato tecnico predispone quindi, anche tramite i servizi per l’inserimento lavorativo  dei disabili (SILD) un progetto lavorativo individualizzato sulla base di una diagnosi delle capacità lavorative di ciascuno in modo da poter trovare  il lavoratore “giusto” per il posto “giusto”. La nuova legge ha anche ridotto la percentuale di posti riservati al collocamento obbligatorio che è ora del 7% se l’impresa o l’ufficio supera i cinquanta dipendenti, mentre è di due se i dipendenti sono compresi da un minimo di 36  ad un massimo  di 50, ed è di un dipendente se il datore di lavoro ha un numero di lavoratori compreso tra i 15 ed i 35 dipendenti.  Solo se l’obbligo riguardava la chiamata di un solo dipendente essa era nominativa e nel caso di due, una era nominativa. In tutti gli altri casi la chiamata era numerica. Queste percentuali sono frutto della vecchia normativa e di recente il decreto legislativo n° 151/2015 ha reso tutte le chiamate nominative. Ciò ha determinato una forte reazione da parte di alcune associazioni le quali ritengono che questo nuovo criterio escluderà dalle chiamate le persone con le disabilità più gravi. Si è però rilevato che dopo 15 anni di applicazione della legge, le chiamate numeriche sono state solo il 5% di tutti i casi di collocamento obbligatorio (vedi Carlo Giacobini e Fausto Giancaterina). Tutti gli altri casi non hanno prodotto il rischio paventato che venissero scelti solo i disabili meno gravi. Inoltre la chiamata nominativa è più corrispondente allo spirito del collocamento mirato, frutto di un progetto e non solo del posto casuale ottenuto nella graduatoria.

Condizione necessaria per poter accedere al diritto del collocamento obbligatorio è l’accertamento sanitario, operato dalla Commissione di cui all’art. 4 della legge-quadro n° 104/1992 di una invalidità superiore al 45%, calcolata in base a delle tabelle formulate con D.M. della salute del 5 Febbraio 1992. Tali tabelle si basano su criteri derivanti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, presenti nell’ICD10, (classificazione internazionale delle disabilità) che consistono nell’attribuire a ciascuna parte del corpo, intese anche le capacità intellettive, una determinata percentuale di invalidità.  Sommando tutte queste percentuali si perviene a stabilire il livello di invalidità posseduto da ciascuna persona con disabilità. Può così accadere che una persona raggiunga una certa percentuale sommando tante piccole disabilità, mentre un’altra raggiunga la stessa percentuale con una sola grave disabilità. Comunque queste classificazioni frammentano la persona in tanti parti del proprio corpo e non tengono assolutamente conto delle situazioni contestuali nelle quali le persone si trovano a vivere la propria disabilità. Conseguentemente nulla conta se  ad es. la stessa percentuale di disabilità viene vissuta in un contesto favorevole, costituito da nuove tecnologie che possono ridurre notevolmente il grado di disabilità o se viene vissuta in zone prive di tali tecnologie o di cultura accogliente e solidale, etc.

Per questi motivi le associazioni si stanno battendo per sostituire tali percentuali con i nuovi criteri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che fanno riferimento all’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) che tiene anche conto proprio del contesto ambientale e culturale e delle condizioni che favoriscono od ostacolano la partecipazione alla vita sociale delle persone con disabilità.

La l. n° 68/1999 prevede anche la possibilità di convenzioni stipulate tra sindacati dei datori di lavoro e dei lavoratori, tramite l’Ufficio per l’impiego, tendenti a facilitare la realizzazione del progetto di inserimento lavorativo mirato anche con chiamate nominative.

Inoltre la legge ha previsto degli incentivi economici ai datori di lavoro consistenti nella fiscalizzazione totale degli oneri contributivi per la durata di 8 anni, se il datore assume lavoratori con disabilità superiori al 79% di invalidità e per le persone con disabilità intellettive anche con invalidità inferiore, purchè superiore al 45%; tale fiscalizzazione è pari al 50% e per la durata di cinque anni se assumono disabili con una percentuale compresa tra il 66% ed il 79%; la fiscalizzazione è forfettaria per lavoratori con invalidità superiore al 50% per l’adattamento del posto di lavoro e l’eliminazione delle barriere architettoniche e senso-percettive. A tal fine è istituito un fondo, con una dotazione statale iniziale. Sono istituiti fondi regionali che sono incrementati con le multe dovute dai datori di lavoro che non rispettano l’obbligo annuale di segnalare le eventuali scoperture rispetto alle percentuali di assunzioni obbligatorie o per la violazione delle percentuali medesime. La legge prevede la possibilità di compensazioni tra diverse sedi aziendali o uffici, quando questi siano situati in zone diverse ed una abbia assunto più della percentuale dovuta. Prevede altresì la possibilità di esonero per giustificati motivi. Purtroppo gli esoneri sono una grave piaga ed inoltre molte imprese si sottraggono all’obbligo di assunzione preferendo pagando le basse penali.

Mentre per l’assunzione obbligatoria nelle imprese e negli uffici privati è indispensabile lo stato di disoccupazione che dà diritto all’iscrizione nelle liste speciali di collocamento a partire dal compimento del sedicesimo anno di età, per l’accesso ai concorsi negli enti pubblici può anche non sussistere lo stato di disoccupazione al momento della domanda e quindi può passarsi da un impiego ad un altro.

Per impedire la violazione della normativa sull’obbligo di assunzione le imprese che vogliono partecipare a gare di appalto pubbliche debbono dichiarare di aver adempiuto agli obblighi di assunzione, pena l’annullamento della partecipazione alla gara.

Ritengo che con queste salvaguardie, e specie con la chiamata nominativa sostenuta da convenzioni, il diritto al lavoro delle persone con disabilità, ancora assai percentualmente inferiore rispetto al tasso di occupazione delle persone non disabili, possa avere un incremento.

Purtroppo l’attuale periodo di crisi economica che l’Italia attraversa rende molto più difficoltosa la già difficile applicazione della normativa inclusiva in materia di lavoro dipendente.

Sono pure state emanate norme per facilitare il lavoro autonomo delle persone con disabilità, sia a livello individuale che collettivo:

  • A livello individuale la l. n° 104/1992 all’art. 18 comma 6 espressamente prevede che le regioni debbano emanare norme per promuovere il lavoro autonomo delle persone con disabilità. In applicazione di tale principio la legge 17 maggio 1999, n° 144 ha previsto norme in materia di lavoro autonomo che son ostate rese operative dal Decreto Legislativo 21 aprile 2000, n° 185. Tali norme sono chiaramente applicabili anche alle persone con disabilità specie alla luce dell’art. 27 comma 1 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità che impone pari opportunità di trattamento con le persone senza disabilità e l’accomodamento ragionevole per garantire la realizzazione anche del diritto al lavoro autonomo. La stessa norma fissa criteri per la tutela del lavoro dipendente.
  • A livello collettivo, la l. n. 381/1991 ha previsto due nuovi tipi di cooperative che riguardano le persone con disabilità:
  1. A) le cooperative sociali di tipo A che gestiscono servizi a favore di persone con disabilità, ad es. servizi di consulenza per l’inserimento lavorativo, servizi per favorire lo svolgimento di attività parascolastiche ed extrascolastiche tendenti all’inclusione, servizi di formazione professionale, servizi per lo svolgimento di attività sportive e di turismo integrato.
  2. B) le cooperative di tipo B che hanno tra i propri soci persone con svantaggio e con disabilità. Questo tipo di cooperative gode anche della possibilità che gli enti pubblici nel bandire gare di appalto per pubblici servizi, ad es. per la cura del verde pubblico, per la gestione di mense scolastiche etc., abbiano un diritto di precedenza nella gestione di tali servizi.

Ormai questi due tipi di cooperative si sono mischiati e quindi anche nelle cooperative di tipo A possono trovarsi soci-lavoratori con disabilità.

Per approfondimenti sull’inserimento lavorativo vedi anche:

Avv. Salvatore Nocera
FISH Nazionale
(Federazione Nazionale per il Superamento dell’Handicap)