7. L’INCLUSIONE NELLA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO

L’art. 12 comma 2 della l. n° 104/1992 stabilisce che alle persone con disabilità è garantita l’inclusione nelle scuole di ogni ordine e grado e quindi anche nelle scuole secondarie di primo grado.

È questo un grado di scuola ancora poco chiaro come precisazione degli obiettivi; infatti ancor oggi si discute se sia la fase terminale della scuola del primo ciclo o la fase preliminare per la scuola del secondo ciclo. Il fatto che la scuola dell’obbligo sia stata prolungata dalla terza media al secondo anno di scuola superiore, potrebbe lasciare propendere per la seconda ipotesi interpretativa e quindi considerare tale segmento della scuola come preparatorio alla scuola secondaria di secondo grado.

Però tutta la normativa ha sempre considerato la terza media come fase conclusiva del primo ciclo di istruzione e la stessa legge-quadro n° 104/1992 all’art. 16 comma 2, a proposito della valutazione degli alunni con disabilità frequentanti la scuola secondaria di primo grado, detta norme decisamente differenti per i criteri valutativi di scuola superiore, ribaditi  dagli art. 11 e 15 dell’O.M. n° 90/2001 e dall’art. 9 del DPR n° 122/2009, in modo che l’interprete è costretto a continuare a ritenere che la scuola secondaria di primo grado si differenzi, almeno sotto il profilo della valutazione del profitto degli alunni con disabilità, dalla scuola secondaria di secondo grado.

Gli aspetti normativi concernenti l’iscrizione, la formazione delle classi, la formulazione del PEI provvisorio da inviarsi entro maggio agli enti che debbono fornire le risorse ivi previste e la parziale continuità didattica con il docente di sostegno del grado precedente di scuola previsto dalla C.M. n° 1/1988, sono gli stessi della scuola primaria. Unica differenza sostanziale riguarda l’assegnazione delle ore di sostegno che nella scuola primaria, nel caso di disabilità grave, specie intellettiva, relazionale o sensoriale, è di una cattedra di 22 ore, mentre nella scuola secondaria di primo grado è di una cattedra di 18 ore, come nella secondaria di secondo grado.

Quanto alla valutazione del profitto, fermo restando quanto detto alla scheda n. 2 sulla differenza dell’oggetto di valutazione tra docenti per il sostegno (art. 2 DPR n° 122/2009) e docenti curricolari (art. 9 stesso DPR), ci sono delle peculiarità concernenti la scuola del primo ciclo.

Infatti, mentre per tutte scuole di ogni ordine e grado vale quanto stabilito dall’art. 16 comma 1 l. n° 104/1992 e cioè che il PEI degli alunni con disabilità può prevedere anche la riduzione parziale dei contenuti di talune discipline o la loro sostituzione con altri contenuti, il comma 2 di tale art. 16 detta un criterio innovativo, pienamente coerente col principio di personalizzazione ed individualizzazione del percorso didattico degli alunni con disabilità.

Infatti l’art. 16 comma 2 della l. n° 104/1992 stabilisce che il PEI di tali alunni debba  essere formulato sulla base “delle effettive capacità” e potenzialità di tali alunni e che la valutazione positiva consiste nel verificare se vi siano stati progressi rispetto ai livelli iniziali degli apprendimenti.

Non si tiene quindi conto della corrispondenza degli obiettivi del PEI ai livelli di sufficienza dei programmi ministeriali o alle indicazioni nazionali, ma solo alle “effettive capacità” degli alunni con disabilità (cosa che vale anche per la valutazione nella scuola primaria). Diviene quindi determinante verificare i livelli iniziali degli apprendimenti al momento di ingresso nella scuola secondaria di primo grado, con sistemi oggettivi di valutazione e accertare i progressi realizzati dall’alunno durante, a fine anno ed a fine ciclo.

Se quindi l’alunno, secondo le sue effettive capacità, ha svolto tutte le discipline, ha realizzato progressi rispetto ai suoi livelli iniziali degli apprendimenti ed ha raggiunto quindi gli obiettivi del suo PEI (art. 11 comma 11 O.M. n° 90/2001), l’alunno ha diritto alla promozione alla classe successiva e, al termine degli esami con esito positivo, al diploma conclusivo del primo ciclo di istruzione.

Se invece non realizza una di queste condizioni, egli può essere dichiarato ripetente (purché la ripetenza si ritenga giovi alla sua crescita negli apprendimenti) o può ricevere un attestato con la certificazione dei crediti formativi maturati, che è titolo idoneo all’iscrizione alle scuole del secondo ciclo al solo fine di acquisire, al termine degli studi, altro attestato con la certificazione dei crediti formativi maturati (art. 11 comma 12 O.M. n° 90/2001).

È da tener presente che l’art. 11 comma 11 citato stabilisce che l’alunno sia valutato tramite “prove differenziate” rispetto a quelle dei compagni, che, essendo rispondenti al suo PEI, sono molto più discrezionali delle prove “equipollenti” di cui all’art. 16 comma 3 l. n° 104/1992, le quali invece debbono comunque verificare il raggiungimento di livelli di sufficienza secondo i programmi ministeriali.

Lo stesso valga per la quarta prova nazionale stabilita dall’INVALSI, che fa media coi risultati delle altre prove d’esame ai fini della valutazione complessiva. Anche per tale prova la C.M. n° 32 del 14 marzo 2008 al paragrafo 5 lettera b)  stabilisce che si possa svolgere con “prove differenziate” che “hanno comunque valore equipollente ai fini della valutazione dell’alunno”.

Quanto invece per le prove INVALSI di confronto tra i livelli apprenditivi in talune discipline con altri Paesi dell’OCSE, che si effettuano annualmente, è il consiglio di classe a decidere se tali prove debbano essere effettuate anche dagli alunni con disabilità intellettive e se i loro esiti debbano entrare o meno nella media della classe. Resta invece fermo che a tali prove partecipano gli alunni con disabilità sensoriali o motorie  e che i loro esiti entrano a far parte della media della classe e quindi della media nazionale (Nota INVALSI-MIUR 18/02/14).

Un problema concernente questo grado di scuola riguarda il desiderio dei genitori di figli con disabilità di farli uscire da scuola insieme con i compagni e farli tornare a casa da soli, al fine di educarli all’autonomia, specie seguendo dei progetti di associazioni specializzate. Il problema è delicato perché molte scuole oppongono un netto rifiuto trincerandosi dietro la giurisprudenza che ha interpretato l’art. 591 del Codice Penale.

È infatti da tener presente che il detto articolo prospetta il reato di abbandono di minore o di incapace, distinguendo tra  minori degli anni 14, per i quali il reato di abbandono è presunto, ed i maggiori di tale età per i quali il caso di abbandono di incapace deve essere dimostrato dall’autorità inquirente.

In questi casi, se il figlio con disabilità ha meno di 14 anni potrebbe scattare automaticamente la responsabilità della scuola oltre che dei genitori, così come potrebbe avvenire per tutti i figli, anche senza disabilità, minori di 14 anni e la scuola dovrebbe difendersi, con scarse probabilità di successo, per cercare di superare la presunzione di colpa prevista dal Codice Penale con conseguenza del risarcimento dei danni in caso di incidente occorso all’alunno.

Stanti così le cose si suggerisce alle famiglie di alunni con disabilità minori dei 14 anni che vogliano educarli all’autonomia di mandare una persona adulta a prendere il minore di 14 anni a scuola. Appena usciti dalla scuola l’adulto lascerebbe il ragazzino andare a casa da solo o con i compagni. È vero che ai genitori di minori di 14 anni senza disabilità la scuola non impedisce l’uscita autonoma da scuola e ciò costituisce una discriminazione degli alunni con disabilità. Però è sconsigliabile agire con la legge n° 67/2006 per far cessare la discriminazione; infatti a causa dell’art. 591 del Codice Penale la discriminazione verrebbe eliminata con l’obbligo anche per gli alunni senza disabilità con età inferiore ai 14 anni di uscire dalla scuola affidati ad un adulto di fiducia della famiglia.

Per i figli con disabilità maggiori di 14 anni, dal momento che la famiglia stipula con la scuola un Contratto con l’iscrizione dell’alunno, essa, può sottoscrivere l’esonero da responsabilità del Dirigente Scolastico per fare uscire da solo l’alunno al termine delle lezioni.


La scuola, per sua ulteriore garanzia, può chiedere il parere del servizio di neuropsichiatria che ha in carico l’alunno con disabilità; comunque un eventuale parere negativo di tale servizio non può impedire ai genitori di chiedere per iscritto ed ottenere che il figlio con disabilità ultraquattordicenne esca da scuola da solo, motivando le ragioni di tale scelta.

Il dirigente, per gli alunni con più di 14 anni, non potrebbe opporre un rifiuto basato sul rischio che così facendo egli possa essere incriminato di abbandono di incapace ai sensi dell’art. 591 del Codice Penale, poiché la richiesta scritta del genitore impedisce il configurarsi dell’ipotesi di abbandono da parte del Dirigente Scolastico.

Né il Dirigente potrebbe opporre il rischio di responsabilità civile della scuola ai sensi dell’art. 1218 o dell’art. 2047 del Codice Civile, poiché l’affidamento dell’alunno con disabilità alla scuola, avvenuto con l’iscrizione scolastica, viene accompagnato dalla richiesta scritta dei genitori di consentire l’uscita autonoma del figlio ultraquattordicenne. Pertanto la responsabilità civile della scuola e del Dirigente viene esclusa da questa dichiarazione del genitore.

La stessa risposta, a mio avviso, può darsi ai genitori che chiedono di mandare a scuola o far rientrare a casa dalla scuola i propri figli ultraquattordicenni sugli scuolabus senza la necessità di un accompagnatore e senza la necessità che alla fermata ci sia una persona maggiorenne che prenda in custodia l’alunno per portarlo dentro la scuola o a casa.

Avv. Salvatore Nocera
FISH Nazionale
(Federazione Nazionale per il Superamento dell’Handicap)