16. IL PROGETTO DI VITA DELLE PERSONE CON DISABILITA’

Tutti tendiamo ad avere un progetto di vita. Dapprima cominciano a sognarlo ed abbozzarlo i nostri genitori, poi lo prendiamo in mano noi stessi, non sempre riuscendo a realizzarlo.

Per le persone con disabilità la normativa si è sforzata di prevedere la necessità di realizzare un tale progetto, stanti le difficoltà economiche ed esistenziali che di solito ne limitano o impediscono la sua realizzazione. Così varie norme si sono susseguite nel tempo per individuare l’oggetto di tale progetto, i soggetti promotori e le condizioni contestuali che ne dovrebbero favorire la realizzazione.

Così la l. n° 104/1992 all’art. 12 comma 5 prevede che un gruppo di lavoro composto da genitori, docenti della classe ed operatori sociosanitari debbono formulare annualmente un PEI (Piano Educativo Individualizzato) concernente gli obiettivi individuati nell’art. 12 comma 3 della stessa legge da realizzare.

Così l’art. 17 della stessa legge stabilisce che la frequenza dei corsi di formazione professionale debba essere coerente con gli obiettivi del PEI seguito negli anni precedenti.

Così l’art. 2 della l. n° 68/1999 prevede la necessità di un progetto lavorativo “mirato“ (cioè idoneo ad assicurare alle persone con disabilità un posto lavorativo adatto alle proprie condizioni personali ed esistenziali) da realizzarsi da parte degli Uffici per l’impiego con la collaborazione della famiglia e di altri soggetti.

In vero questi non sono dei veri progetti di vita, limitandosi ciascuno ad un arco temporale ben definito.

La norma che ha proposto un progetto più ampio concernente lo svolgersi della vita nella sua ampiezza è la l. n. 162 del 1998 che, come integrazione alla l. n° 104/1992, è stata voluta dalle associazioni per dare maggiore consistenza per facilitare la vita indipendente delle persone con disabilità una volta divenute adulte.

In tale legge si prevede la possibilità di realizzare progetti concordati tra comune di residenza e l’interessato o la sua famiglia, tramite la formulazione di un progetto che può arrivare a prevedere anche un’assistenza di 24 ore su 24 nei casi più gravi. La previsione non si limita a fornire all’interessato servizi di assistenza domiciliare, anche integrata socio-sanitaria, ma prevede anche l’erogazione di una somma concordata tra comune ed interessato o la sua famiglia. Ciò al fine di evitare che le persone con disabilità, terminato l’iter scolastico, permangano passivamente in famiglia o peggio ritornino negli istituti speciali dai quali la nostra normativa ha cercato di tirarli fuori, anche se ancora non c’è pienamente riuscita; anzi in questi ultimi anni si nota un rilancio degli istituti speciali, dovuto ai crescenti tagli ai servizi ed alla spesa pubblica. La Sardegna, grazie all’impegno delle locali associazioni di persone con disabilità, specie l’ABC – Sardegna (Associazione Bambini Cerebrolesi) ha avviato da anni una seria politica di realizzazione di tali progetti  che hanno ormai raggiunto diverse decine di migliaia di persone con notevole impegno finanziario della stessa regione.

Tali progetti riguardano non solo persone con disabilità motoria, ma anche con disabilità sensoriali, ai quali viene facilitato sia un miglior percorso scolastico, ma soprattutto, da adulti una vita indipendente dalla propria famiglia; si pensi anche alla possibilità che ormai viene offerta dalla robotica e dalla cosiddetta “casa intelligente“. Però le associazioni, specie l’ABC – Sardegna hanno ottenuto di realizzare progetti di vita alternativi all’istituzionalizzazione, per persone con disabilità intellettive. Esse rimangono nell’ambito familiare, però non gravano esclusivamente sulle loro famiglie per la loro autonomia, ma sono affiancati, tramite i progetti, da persone di assistenza scelte dalle stesse famiglie, secondo il budget concordato col comune: è la cosiddetta assistenza indiretta.

Dal momento che però questi progetti sono rimessi alla volontà politica delle singole Regioni, nella legge di riforma dell’assistenza sociale n° 328/2000 le associazioni hanno voluto che fosse inserito l’art. 14 che prevede l’obbligo per i comuni di realizzare il progetto globale di vita individuale delle persone con disabilità per tutta la durata della loro vita a partire da quella scolastica.

Purtroppo però la norma è stata formulata in modo alquanto generico, limitandosi a dire che il comune deve nominare un responsabile della formulazione di tale progetto d’intesa con le famiglie, sulla base di un fondo finanziario assai ridotto, che è venuto negli anni sempre più assottigliandosi.

Inoltre è da precisare che questo progetto globale di vita non può essere realizzato dal solo comune, dal momento che esso necessita dell’intervento di altri ambiti istituzionali, come le ASL e le province o gli enti che ad esse subentreranno dopo la riduzione delle loro competenze assistenziali operata con la l. n° 56/2013 e quando verranno soppresse a seguito della riforma della Costituzione attualmente in atto di discussione al Parlamento e che dovrebbe concludersi col referendum confermativo entro il 2016.

Le associazioni hanno provato ad ottenere delle sentenze che rendano operativo l’obbligo dei comuni di realizzare tale progetto globale. In particolare l’ANFFAS ha ottenuto importantissime sentenze grazie al patrocinio degli avv. Francesco Marcellino e Gianfranco de Robertis. In particolare qui interessa la sentenza n. 1861 del 12/11/2015, depositata il 10/12/2015. Trattasi di una sentenza del TAR Calabria che è stata promossa per ottenere l’ottemperanza da parte del comune di Cassano Ionio di una precedente sentenza con la quale lo stesso TAR aveva condannato il comune medesimo a formulare il progetto di vita di una persona con disabilità intellettiva, sentenza alla quale il comune non aveva dato esecuzione.

Questa sentenza è importante perché non si limita, come la precedente ed altre a stabilire l’esistenza di un diritto soggettivo a favore del richiedente la formulazione del progetto di vita individuale, ma nomina, per l’ipotesi di ulteriore inerzia del comune, un commissario ad acta col compito di porre in essere egli il progetto, essendo egli stato dotato dei poteri di attingere alle finanze comunali per la realizzazione del diritto del cittadino vincitore della controversia.

Altra buona prassi di progetto di vita autonoma sperimentato con sempre maggiore frequenza è quello da tempo avviato dall’Associazione Italiana Persone Down (AIPD) con i corsi di educazione all’autonomia. I giovani con sindrome di Down a partire dall’età dei 15 anni vengono educati alla massima autonomia personale dall’associazione a vivere dei momenti di vita al di fuori della famiglia, seguiti da educatori dell’associazione, secondo dei percorsi di durata variabile a seconda dei singoli casi. Ciò per abituare i giovani a vivere da adulti stabilmente in modo autonomo. (http://aipd.it/aipd_autonomia/)

Il progetto di vita, può anche riguardare lo svolgimento della vita della persona interdetta o sottoposta ad amministrazione di sostegno anche dopo la morte dei genitori (il cosiddetto “dopo di noi“).

Il Codice civile offre varie possibilità. Una prima  può essere avviata subito mentre i genitori sono in vita e cioè la cosiddetta “donazione modale” (art. 793 del Codice Civile). I genitori o altro soggetto possono donare dei beni immobili o titoli  ad una persona o ente che si dovrà occupare delle condizioni di vita della persona con disabilità, entro i limiti del valore dei beni donati e viene avviata la vita della persona con disabilità con l’assistenza del donatario.

Se i genitori non sono soddisfatti del modo con cui viene realizzata la vita della persona, possono chiedere  al tribunale civile lo scioglimento della donazione.

Altro strumento è quello delle “Fondazioni” di cui agli art. 15 e seg. del Codice Civile, consistenti nel creare con apposito atto giuridico un patrimonio autonomo al fine di garantire assistenza alla persona con disabilità anche dopo la morte dei genitori. Nella prassi si sono diffuse le Fondazioni “di comunità” in cui non c’è un solo fondatore, ma di solito ad iniziativa del comune diventano fondatori quanti versano una somma per la costituzione del fondo. Si crea così un’assemblea dei fondatori che esprime un consiglio di amministrazione che deve attenersi alle regole di gestione del patrimonio e della realizzazione del progetto di vita fissate dall’assemblea nelle “tavole di fondazione”.

Altra possibilità è che il genitore disponga per testamento di beni a favore della persona con disabilità, i quali però passano, alla morte della stessa, a chi, persona o ente, si sarà occupato della vita della persona medesima. Questo è il cosiddetto “testamento fedecommissario” di cui all’art.  692 del Codice Civile; però in tal caso si richiede che la persona con disabilità sia interdetta, in modo che non possa effettuare testamento dei beni assegnati a lei al momento dell’apertura della successione del genitore e quindi i beni passano per “sostituzione fedecommissaria“ del genitore testatore a chi sta assistendo il figlio; addirittura il Codice prevede che i beni possano essere divisi tra più persone o enti, in relazione alla durata dell’assistenza svolta da ciascuno.

Si ritiene, ad es. dal prof. Paolo Cendòn, che questo istituto possa applicarsi anche alle persone non interdette, ma sottoposte ad amministrazione di sostegno. Ciò è possibile, purchè il giudice tutelare nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno abbia l’accortezza di stabilire tra gli atti vietati al solo assistito anche il testamento. L’art. 411 del Codice Civile, come modificato dalla l. n° 6/2004 stabilisce che “Il giudice tutelare, nel provvedimento con il quale nomina l’amministratore di sostegno, o successivamente, può disporre che determinati effetti […], previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni”.  Nel caso ipotizzato si realizzano le due condizioni volute dalla norma e cioè questa estensione è proprio nell’interesse del beneficiario dell’amministrazione di sostegno  e pure nell’interesse  tutelato dalla normativa che è quella di realizzare delle “misure di tutela delle persone prive in tutto o in parte dell’autonomia“, come è scritto nel titolo del Codice Civile che apre la normativa sull’Amministrazione di sostegno.

Negli ultimi anni, il prof. Cuomo dell’Università di Bologna, d’intesa con un gruppo di avvocati, ha diffuso il cosiddetto “testamento pedagogico“, cioè un testamento nel quale il testatore può dare indicazioni  relative alla vita del beneficiario seguendo gli orientamenti indicati nel suo progetto educativo di vita che ha sempre svolto. Sarà l’esecutore testamentario, nominato tra persone che conoscono bene tali orientamenti e che potrebbe essere pure l’amministratore di sostegno, a dover rispettare e far rispettare le volontà “non patrimoniali” del testatore (art. 587 comma 2 del Codice Civile). Ci si augura che, dopo la prematura improvvisa scomparsa del prof. Cuomo, lo staff da lui creato voglia proseguire nell’approfondimento e nella diffusione di questo istituto.

Altro mezzo giuridico nuovo è il “trust” per persone con disabilità, operante all’estero da tempo, che in Italia è entrato nel panorama giuridico tramite la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1/7/1985 operata dall’Italia con la l. n. 364/1989.

Col “trust” si prevede che uno o entrambi i genitori o altre persone (costituenti) possano sottrarre dal proprio patrimonio beni immobili o titoli di credito (azioni, obbligazioni, buoni del tesoro, ecc.) per destinarne esclusivamente la rendita all’assistenza di una persona con disabilità (beneficiario). I beni così isolati assumono autonomia patrimoniale propria, rimanendo del tutto estranei alle vicende economiche e giuridiche del patrimonio di chi ha istituito il trust. Questo trasferimento dei beni dal patrimonio del costituente ad un nuovo patrimonio autonomo, è esente dall’imposta sui trasferimenti; esso verrà sottoposto all’imposta di successione quando, alla morte della persona con disabilità beneficiaria, i beni separati verranno trasferiti agli eredi. Il patrimonio è amministrato da un “amministratore” che può anche essere il costituente (genitore o altri). Egli opera sotto la vigilanza di un “controllore” (che può essere una persona fisica o un gruppo di professionisti che possono rivolgersi alla magistratura qualora l’amministratore non rispetti le disposizioni del trust.

È stata di recente approvata la legge 22/6/2016, n° 112 sul “dopo di noi” che introduce definitivamente tale istituto nel nostro ordinamento, prevedendo anche agevolazioni fiscali relative al trasferimento di beni al trust e a donazioni per la sua costituzione.

Questa legge potrà costituire la realizzazione del progetto di vita futura delle persone con disabilità predisposto dai familiari per quando non vi saranno più.

Più precisamente però è bene specificare che l’art. 1 comma 2 della legge prevede che:

“La presente  legge  disciplina  misure  di  assistenza,  cura  e protezione nel superiore  interesse  delle  persone  con  disabilità grave, non determinata dal naturale  invecchiamento  o  da  patologie connesse alla  senilità,  prive  di  sostegno  familiare  in  quanto mancanti di entrambi i genitori o perché  gli  stessi  non  sono  in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale,  nonché  in  vista del venir meno del  sostegno  familiare,  attraverso  la  progressiva presa in carico della persona interessata già durante l’esistenza in vita  dei   genitori.   Tali   misure,   volte   anche   ad   evitare l’istituzionalizzazione, sono integrate, con  il  coinvolgimento  dei soggetti interessati, nel progetto individuale di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n.  328,  nel  rispetto  della  volontà delle persone con disabilità grave, ove possibile, dei loro genitori o di chi ne tutela gli interessi.”

Come si vede tale legge non riguarda, come avrebbero voluto alcune associazioni, il sostegno alla vita indipendente di tutte le persone con disabilità, ma solo forme di sostegno, soprattutto fiscale, per le persone certificate con gravità ai sensi dell’art. 3 comma 3 della legge n° 104/92 e che per giunta siano prive del sostegno familiare. Per questi motivi alcune associazioni hanno fortemente criticato la legge ritenendola più a favore di agevolazioni economiche rivolte a famiglie ricche (trust, detrazioni dalle imposte delle assicurazioni sulla vita) che a garantire una vita libera e dignitosa a tutte le persone con disabilità.

In proposito si segnala l’approfondito commento pubblicato sul sito www.handilex.org.

In tutti questi atti giuridici può essere previsto che il beneficiario continui a vivere nella propria casa di abitazione mantenendo, ove possibile, le stesse abitudini di vita.

Il diritto al progetto di vita indipendente è rafforzato dall’art. 19 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

Avv. Salvatore Nocera
FISH Nazionale
(Federazione Nazionale per il Superamento dell’Handicap)