9. FORMAZIONE PROFESSIONALE

L’art. 17 della l. n° 104/1992 stabilisce che le persone con disabilità hanno il diritto di frequentare i corsi comuni e quelli speciali di formazione professionale. Qui approfondiremo quelli comuni, ma si tenga comunque presente che i corsi di formazione professionale speciali riguardano singole tipologie di disabilità che possono essere accettati data la loro specificità. Si pensi ad esempio ai corsi per centralinisti telefonici ciechi o ai corsi di primo livello per far acquisire le autonomie di base per persone con gravi disabilità intellettive.

A seguito dell’innalzamento dell’età dell’obbligo sino al secondo anno di scuola secondaria di secondo grado, è stato introdotto l’obbligo di formazione sino al compimento del 18° anno di età, al fine di pervenire ad una qualifica professionale (l. n° 144/1999 art. 68). A partire dalla riforma della scuola Moratti  (l. n° 53/2003) è consentito a chiunque di adempiere l’obbligo scolastico dei due anni di scuola superiore anche tramite lo svolgimento di attività di apprendistato o la frequenza di corsi di formazione professionale.

Viene lamentato che in talune regioni non sia garantita la presenza di insegnanti per il sostegno o figure similari nei corsi comuni di formazione professionale. Ciò sembra in netto contrasto con la logica inclusiva della l. n° 104/1992 e della Convenzione ONU del 2006, poiché tutta la normativa inclusiva in generale prevede il diritto alla piena partecipazione ai corsi di formazione professionale con l’effettiva partecipazione delle persone con disabilità, prevedendosi anche il principio dell’accomodamento ragionevole (di cui alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata dall’Italia con la l. n° 18/2009), cioè la necessità di trovare soluzioni non eccessivamente costose pur di garantire alle persone con disabilità il pieno godimento dei diritti in condizione di eguaglianza e non discriminazione con le persone non disabili.

In questa logica vanno intese le norme che prevedono, ad es. per gli stages lavorativi o per l’alternanza scuola-lavoro la presenza, per gli alunni in genere, di un tutor interno alla scuola e di un tutor esterno ad essa, rappresentato da un dipendente dell’impresa. Per gli alunni con disabilità il tutor interno potrebbe essere rappresentato dall’insegnante per le attività di sostegno o dall’assistente per l’autonomia e la comunicazione. Coi decreti delegati  concernenti la riforma della formazione professionale e dell’alternanza scuola-lavoro, previsti dall’art. 1 comma 181 lettera d) della l. n° 107 del 2015, ci si augura che questo delicato aspetto venga affrontato e risolto in via generale e definitivo. Uno spunto in tal senso è presente nell’art. 17 della l. n° 104/1992, citato. Infatti in esso si stabilisce che il percorso dei corsi di formazione professionale debba svolgersi in continuità didattica col precedente percorso indicato nel PEI. Se nel PEI è prevista la necessità di presenza di un docente per il sostegno o di un assistente per l’autonomia e la comunicazione, proprio per la logica della continuità didattica, lo stesso dovrebbe essere previsto nella formazione professionale. È compito delle associazioni di persone con disabilità e loro familiari fare pressione sulle proprie regioni affinché nei corsi di formazione professionale siano presenti almeno degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione forniti dagli enti locali, come avviene ad esempio per i corsi autorizzati dalla Città Metropolitana di Roma Capitale (ex provincia).

Altra lagnanza è che talune regioni pretendano, per l’ammissione ai corsi di formazione professionale il possesso del diploma conclusivo del primo ciclo (ex terza media); ciò discrimina gli alunni con disabilità che conseguono non il diploma ma l’attestato con la certificazione dei crediti formativi maturati. Le norme regionali che discriminano tali alunni, a mio avviso, sono in contrasto con l’art. 17 della l. n° 104/1992, con la Costituzione, come interpretata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 215/1987 e con la Convenzione ONU del 2006. Infatti se l’art. 17 citato prevede la continuità col PEI, questa non può interrompersi con la frequenza dei corsi di formazione professionale a causa del mancato conseguimento del diploma conclusivo del primo ciclo. Inoltre, se ormai è legittimo l’accesso alla scuola secondaria di secondo grado per gli alunni che agli esami conclusivi del primo ciclo conseguono solo l’attestato (art. 11 comma 12 dell’O.M. n° 90/2001) non sembra ragionevole la loro esclusione dai corsi di formazione professionale. Ed infine, se la Convenzione ONU del 2006 vieta la discriminazione, imponendo l’accomodamento ragionevole, la mancanza di questa previsione in alcune legislazioni regionali sembra in contrasto con tale Convenzione.

Anche per questo problema è compito delle associazioni intervenire sugli organi istituzionali delle proprie regioni.

Avv. Salvatore Nocera
FISH Nazionale
(Federazione Nazionale per il Superamento dell’Handicap)