12. MISURE DI PROTEZIONE DELLE PERSONE PRIVE IN TUTTO OD IN PARTE DI AUTONOMIA

Tutti minori degli anni 18 sono per legge sottoposti alla potestà genitoriale che comporta la tutela legale nei loro confronti da parte dei genitori. Ciò significa che i minori non possono compiere da soli atti giuridici validi (tecnicamente ciò si chiama: “incapacità di agire”). Appena divenuti maggiorenni o, se a 16 anni vengono emancipati, acquistano la piena capacità di agire e quindi possono compiere atti giuridici, contratti e negozi giuridici in genere, dai quali derivano loro diritti ed obblighi (Codice Civile, libro I, titolo X).

  1. INTERDIZIONE

Per i minori con disabilità grave, specie se intellettiva, appena compiono 18 anni di età, il titolo XII del libro I del Codice Civile al capitolo II ha previsto uno strumento legale di tutela consistente nell’evitare che l’acquisita capacità di agire possa nuocere loro. Così  addirittura un anno prima che compiano i 18 anni di età si può aprire un procedimento che si conclude con la impossibilità di acquistare la capacità di agire o, se già acquistata, di perderla. Questo istituto si chiama “interdizione”; ovviamente questa persona  si trova di fronte alla legge come se non fosse mai divenuta maggiorenne e quindi la legge prevede che ci debba essere un’altra persona a compiere per lei tutti gli atti giuridici che possano interessarla. Questa figura è il tutore, che può essere un genitore o anche un terzo. Egli rappresenta in tutto e per tutto la persona interdetta nel compimento di atti giuridici (tranne gli “atti personalissimi”, quali ad esempio matrimonio e testamento), dal momento che la persona interdetta ha perduto o non ha mai acquistato la capacità di compiere tali atti giuridici. La conseguenza giuridica è che per il mondo giuridico questa persona, come avviene per le persone con disabilità intellettive, è invisibile e totalmente inattiva, quindi con un’enorme limitazione personale nella propria vita e nell’ambito sociale.

  1. INABILITAZIONE

Nei casi meno gravi e per quelli di dipendenza da stupefacenti o di prodigalità lo stesso capitolo del Codice Civile prevede l’istituto dell'”inabilitazione” che può anche essere dichiarata per persone cieche e sorde prive di istruzione.

Queste persone, a seguito della sentenza di inabilitazione, perdono parzialmente la capacità di compiere atti giuridici, in particolare quelli che possono arrecare loro danni, quali ad esempio vendita, sottoscrizione di cambiali, ecc. Questi atti debbono essere compiuti a firma congiunta con un “curatore” nominato dal giudice tutelare all’atto della sentenza di inabilitazione. Per gli altri atti tali soggetti mantengono la loro capacità di agire.

  1. AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO

Proprio perché interdizione e inabilitazione, oltre che incidere sulla capacità di agire del soggetto hanno anche carattere discriminatorio e talvolta infamante, a seguito di un forte movimento da parte delle famiglie e delle associazioni di familiari di persone don disabilità specie intellettive e a seguito di un lungo  dibattito culturale e giuridico, in cui si è distinto il prof. Paolo Cendòn contro gli effetti invasivi e spersonalizzanti dell’interdizione, fu approvata la l. n° 6/2004, che  ha introdotto una nuova figura di tutela nel nostro ordinamento giuridico: l’Amministratore di sostegno (a partire dall’art. 404 del Codice Civile). Purtroppo questa figura non è riuscita a sopprimere l’interdizione che quindi rimane ancora nel nostro Codice Civile e per la cui abolizione il prof. Cendòn continua a battersi.

Quali sono i vantaggi di questa enorme modifica legislativa? Innanzi tutto la rubrica del titolo del Codice Civile prima denominato “mezzi di tutela delle persone incapaci” è stato sostituito con la denominazione “Delle misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia”.

Ciò dà un’immagine sociale migliore e più dignitosa a tali persone.

Ma l’effetto legale più importante è che quando, al termine di un procedimento apposito, viene nominato l’amministratore di sostegno, la persona con disabilità intellettiva non perde la capacità totale di compiere atti giuridici, ma tali atti vengono compiuti: o dall’amministratore di sostegno, che si comporta come un tutore (senza però che l’assistito perda la capacità di agire legalmente per altri atti), o con la presenza dell’amministratore e dell’assistito per atti meno rischiosi economicamente, come avviene con il curatore, o dallo stesso assistito per alcuni atti indicati nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno.

L’interdizione e l’inabilitazione processualmente vengono proposte da terzi (solitamente i familiari), con una vera e propria citazione contro l’interessato, mentre la richiesta di amministrazione di sostegno può essere richiesta con un semplice ricorso al giudice tutelare, oltre che dai familiari o dagli operatori sociosanitari che seguono casi di persone loro affidate, anche dallo stesso interessato.

Il giudice tutelare deve sentire tutti i familiari, il coniuge, se esiste, e i parenti sino al sesto grado e nomina un amministratore di sostegno in persona di un familiare o di un terzo che può anche essere il legale rappresentante di un’associazione ad es. di familiari di persone con disabilità, proponendo un progetto giuridico personalizzato in cui sono distinti, come sopra detto, le tipologie diverse di atti giuridici.

L’Amministratore di sostegno deve rispettare “i desideri e le aspirazioni” dell’assistito; deve periodicamente rendere il conto al Giudice tutelare circa le spese effettuate per l’assistito attingendo anche al suo patrimonio e può essere sostituito in caso di conflitto con lo stesso o per infedele amministrazione. Tale figura può anche essere richiesta dai genitori nel proprio testamento, in modo da essere certi che il figlio con disabilità intellettiva non sia abbandonato a sé stesso dopo la loro scomparsa.

Come si vede questo istituto risponde molto alla realizzazione del progetto di vita delle persone con disabilità, specie intellettiva, di cui parla l’art. 14 della l. n° 328/2000.

E sotto questo profilo è interessante notare che a differenza del tutore, che ha il compito di non ridurre il patrimonio dell’assistito, l’amministratore di sostegno può anche farsi autorizzare a vendere dei cespiti patrimoniali dell’assistito , senza l’obbligo di reimpiegarli in altri beni patrimoniali,  ma per utilizzarli per una migliore qualità della vita dello stesso. Si evita così l’assurda situazione di persone sottoposte a tutela che alla loro morte hanno lasciato patrimoni ingenti, mentre, sotto la vigilanza del giudice tutelare, il sottoposto ad amministrazione di sostegno può anche condurre una vita più comoda e permettersi degli svaghi, ad es. vacanze estive o invernali etc. La normativa quindi ha ormai privilegiato la qualità della vita dell’assistito più che l’intangibilità del suo patrimonio.

Tali diritti sono rafforzati dall’art. 12 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

Per approfondimenti vedi:

Avv. Salvatore Nocera
FISH Nazionale
(Federazione Nazionale per il Superamento dell’Handicap)